Incontro Medici Pazienti, intervista a Nadia Lippa referente provinciale della delegazione di Verona dell’Associazione A.M.I.C.I Onlus

In occasione dell’incontro Medici Pazienti a Negrar, il 23 novembre 2019, abbiamo intervistato Nadia Lippa, referente provinciale della delegazione di Verona dell’Associazione A.M.I.C.I Onlus.

Nadia Lippa ci racconta in questa intervista perché e come è nata la delegazione di Verona, quali sono i suoi obiettivi, quali le preoccupazioni maggiori per i pazienti e quanto sia utile il confronto diretto tra medici e pazienti.

Quali considerazioni si possono fare sulla giornata di oggi?

È sempre emozionante, uno di quei momenti in cui l’impegno di un anno di lavoro si concentra in ore di incontri, informazioni, strette di mano. Quindici anni fa, ho contribuito alla fondazione della delegazione provinciale dell’Associazione, dopo che mi è stata diagnosticata una Rettocolite Ulcerosa. Mi è crollato il mondo addosso e non sapevo bene cosa fare, poi pian piano ho trovato la forza di reagire e la giornata di oggi è la dimostrazione che qualcosa siamo riusciti a costruire.

Perché a Negrar?

È stato il destino, che non è mai il caso, ma la volontà delle persone che diventa azione. Il dott. Andrea Geccherle è stato il più pronto e disponibile ad ascoltare le mie esigenze, a capire la situazione. Ricordo di averlo conosciuto per circostanze familiari, non direttamente per la mia patologia.

Davanti alla mia richiesta di aiuto per fondare una delegazione veronese di A.M.I.C.I e avere un riferimento ospedaliero unico, mi disse: ne riparliamo tra un paio di mesi. È stato di parola e a lui va un grande grazie. Negrar per me è speciale, c’è tanta umanità. Oggi siamo qui ed esiste una realtà ben consolidata con quasi 700 associati e un Centro Multi-specialistico specializzato (IBD Unit di Negrar) nel trattamento e la cura delle M.I.C.I.

Cosa si propone l’Associazione?

I capisaldi sono: informare, sensibilizzare e includere.

Quali sono le esigenze dei pazienti  affetti da  M.I.C.I?

Sono tante e le più disparate. È una malattia complessa e, per certi versi, molto subdola. Invisibile. Non ci sono segni evidenti. Cicatrici, manifestazioni esterne che ti diano il “patentino di malato”.
È
una situazione che spesso lascia noi malati in una condizione di profonda solitudine e isolamento. Nonostante le sofferenze, i disagi e i dolori, ve lo assicuro, siano davvero forti in alcuni periodi.

Quali le situazioni più critiche, secondo la sua esperienza?

L‘ansia di trovarsi di fronte al medico sbrigativo che non prende sul serio la patologia. Badate bene, non che accada, ma è una paura che alle volte fa chiudere ancor più in se stesso il malato.

La difficoltà nell’essere informati e consapevoli.

La paura, non tanto della patologia che in qualche modo si riesce ad accettare, ma di tutto il corollario: il problema oculistico, reumatologico.

Il timore di veder passare troppo tempo tra una visita specialistica e l’altra.

Non avere sempre lo stesso medico referente per ogni aspetto che la patologia coinvolge.

Come definirebbe queste malattie dal punto di vista del paziente?

Sono patologie fortemente invalidanti che coinvolgono i familiari, hanno implicazioni sul lavoro e sulla vita professionale delle persone che ne sono affette, incidono sulla qualità della vita di noi pazienti e di chi ci sta accanto. Hanno ripercussioni psicologiche anche gravi, in alcuni casi gravissime, sopratutto tra i più giovani.

La paura più grande?

Essendo una malattia autoimmune, molti pazienti si chiedono se può succedere che si manifestino altre patologie autoimmuni. Purtroppo la risposta è: sì, può accadere. Per questo essere inseriti in un contesto associativo e fare riferimento ad un centro specializzato diventa fondamentale.

Come si risponde a queste esigenze?

Combattendo l’ignoranza. Ci sono persone che prendono il cortisone in maniera improvvisata, seguendo poco o male le indicazioni del medico curante; ci sono quelli che non si rivolgono ad un gastroenterologo; che interrompono le terapie perché “mi sento bene”, trascurando il fatto che essendo una malattia cronica, alterna per natura, fasi acute ad altre di recrudescenza. In questi casi, il paziente si procura danni gravissimi.

Alcuni casi limite in cui il paziente abbandona le cure mediche a favore di rimedi fai da te. Lascio immaginare con quali conseguenze. Altri ancora che, grazie ai farmaci biologici, stanno meglio e decidono autonomamente di interrompere le terapie o diminuirle. In ogni caso, facendo danno a se stessi.

Quali azioni concrete per far fronte a tutto questo?

Informare: la giornata di oggi ne è un esempio concreto. Gli incontri che facciamo, i materiali che divulghiamo. I Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali che mettono in contatto medici di base e specialisti, i questionari approntati dalle Ausl. Sono alcuni esempi.

Sostenere: l’Associazione tiene corsi per aiutare i pazienti a capire e condividere i propri problemi e limiti. In questo senso, i Summer Camp che abbiamo organizzato per bambini e ragazzi dai 6 ai 14 anni, sono stati utilissimi per far assumere consapevolezza ai più giovani e aumentare la loro autostima. Condividere evita l’isolamento e li fa sentire più forti. Organizziamo corsi di supporto psicologico (coadiuvati da psicologi specializzati). Tutte iniziative gratuite per chi è socio e anche per chi non lo è.

Sensibilizzare: illuminiamo i monumenti di viola (colore rappresentativo della malattia) per far parlare di queste patologie che sono semi-sconosciute alla maggioranza delle persone che non le abbia incontrate per qualche ragione personale o di vicinanza ad una persona che ne soffre.

È soddisfatta della sua attività?

Soddisfatta mai, appagata ogni tanto. Spero di aver fatto e di fare qualcosa di buono per i più giovani. È la mia vita, la mia passione e un po’ la mia missione.

Se volete maggiori informazioni sull’Associazione e sull’IBD Unit di Negrar, chiamateci al numero 045 6013720 o scriveteci a segreteria.procto@sacrocuore.it