Giuliano Barugola, chirurgo dell’Ospedale di Negrar lavora quotidianamente in sinergia col team dell’IBD Unit. È recentemente rientrato da un semestre trascorso al St Mark’s Hospital di Londra (Regno Unito) dove ha potuto misurarsi con l’eccellenza mondiale nel campo della chirurgia colorettale. Il dottor Barugola (nella fotografia ritratto con il collega Janindra Warusavitarne del St Mark’s Hospital) ci parla oggi del ruolo della chirurgia nei pazienti affetti da Rettocolite Ulcerosa (RCU).
Parliamo di una chirurgia spesso complicata sia tecnicamente sia per le condizioni cliniche dei pazienti che la richiedono. Una chirurgia che prevede non solo tecnica, serve anche una grande consapevolezza ed una motivazione condivisa tra paziente e curante.
Quando ricorrere alla chirurgia?
Premettiamo che i pazienti affetti da RCU necessitano di chirurgia nel 20% dei casi.
Si ricorre per lo più alla chirurgia in condizione di elezione, cioè quando il paziente o per fallimento delle terapie mediche o per comparsa di rischio neoplastico (presenza di displasia) deve essere operato, ma è nelle condizioni cliniche di poter programmare l’intervento.
In una minor percentuale dei casi l’intervento diventa urgente: ciò avviene in caso di complicanze acute della malattia intestinale che mettono a rischio la sopravvivenza del paziente.
In elezione, quando si ricorre all’intervento?
L’indicazione elettiva alla chirurgia è rappresentata dai casi che non riescono a migliorare con la terapia medica, dopo che tutte le alternative conservative sono state considerate.
Altro caso di intervento in elezione è quello per pazienti seguiti nel tempo con colonscopie e biopsie ripetute e che sviluppano delle lesioni precancerose.
Invece quando si interviene in urgenza?
La chirurgia è indicata in regime di urgenza per i pazienti che hanno complicanze potenzialmente letali come un’emorragia massiva, una perforazione intestinale o, condizione estrema, il megacolon tossico nel quale una importante distensione del colon si accompagna a gravi sintomi sistemici.
In questo caso il chirurgo deve conoscere dall’inizio il paziente ed essere pronto dopo 72 ore di trattamento medico intensivo ad un intervento d’urgenza se non migliora pena il rischio di morte.
Le tecniche, per semplificare, che potremmo definire “tradizionali” quali sono?
Il trattamento chirurgico dei pazienti con rettocolite ulcerosa deve essere affidato a chirurghi specialisti che hanno completato un training specifico in chirurgia colo-rettale: solo in questo modo il chirurgo può offrire al paziente le soluzioni più personalizzate.
Sintetizzando gli interventi eseguibili in RCU sono:
– Proctocolectomia totale: l’asportazione di tutto il colon compreso il retto rappresenta la cura definitiva della malattia e prevede la creazione di una ileostomia terminale secondo Brooke (abboccando l’estremità dell’intestino tenue rimanente alla parete addominale) e l’utilizzo a vita di una sacca applicata sulla parete addominale per raccogliere le feci.
– Ileo-pouch anastomosi: è il naturale completamento del percorso di cura in pazienti selezionati, finalizzata a migliorare la qualità di vita con la ripresa dell’evacuazione per via anale eliminando la necessità di avere una stomia. Rappresenta una soluzione chirurgica tecnicamente complessa ma ottimale quando condivisa e ben discussa con il paziente
– Colectomia sub-totale con ileo-retto anastomosi: in questo caso l’intestino tenue può essere quindi ricollegato al retto e può essere così preservata la continenza del paziente. Il moncone rettale può essere così trattato con terapie locali nei periodi di esacerbazione della malattia. In questo modo si evita una ileostomia o la complessa costruzione di una pouch ma i rischi di proctite (infiammazione del moncone rettale residuo), di aumentata frequenza della defecazione, di urgenza, e di cancro della porzione di retto mantenuto rimangono. Opzione da ricercare in casi ultra selezionati.
Quindi la cosidetta “pouch”. Prima di entrare nel merito, quali considerazioni preliminari è bene fare?
È bene ricordare che si tratta di un intervento sofisticato che presuppone una forte motivazione da parte del paziente che deve essere informato e consapevole.
È un percorso chirurgico che può avere ottimi esiti ma che vanno spiegati. In caso di successo, il paziente risolve la malattia, ma avrà la necessità di scaricare circa dalle 3 alle 7 volte al giorno ma in modo del tutto naturale e senza una logorante patologia sottostante.
Quando si può ricorrere a questo tipo di intervento?
È un intervento che si può intraprendere quando la funzione sfinterica è conservata e adeguata. La ricanalizzazione è ottenuta confezionando un reservoir ileale, detta tasca, una sorta di serbatoio della lunghezza di 12-15 centimetri costituito dalla duplicazione dell’ultima ansa ileale che successivamente viene anastomizzata al canale anale.
Perché ricorrere a questa tecnica?
È doveroso ricordare che questo intervento ha come fine ultimo il miglioramento della qualità della vita del paziente non la cura della patologia che è già stata ottenuta con la proctocolectomia.
Il problema del paziente è quindi risolvibile anche con la stomia, ma l’impatto sulla vita del paziente è ben diverso. Non bisogna mai dimenticare la premessa fatta precedentemente: il paziente deve essere motivato, informato e consapevole.
Cosa si deve necessariamente sapere prima di prendere anche solo in considerazione questo tipo di intervento?
Il primo aspetto è che per ottenere un risultato apprezzabile e il miglioramento della qualità della vita del paziente, si devono evitare le complicanze. Ciò avviene quando l’asportazione del retto e la dissezione della pelvi sono effettuate nella maniera minor invasiva possibile.
Si deve tenere conto anche che ci possono essere delle complicanze nel lungo periodo: la più importante è rappresentata dalla cosiddetta pouchite (dolore e perdite ematiche dall’ano) che si verifica nel 9-34% dei pazienti lungo la sua vita. Non si conoscono le cause ma si ritiene che le stesse complicanze chirurgiche ne possano esser causa nel lungo periodo. Per questo la chirurgia per essere efficace deve essere priva di complicanze.
C’è la possibilità del fallimento di questa terapia chirurgica?
Purtroppo sì, nei casi più gravi di pouchite si può rendere necessario l’asportazione della pouch ed il ritorno quindi alla presenza dello stoma.
Quindi in conclusione viene normale chiedersi: ma ne vale la pena?
Ogni alternativa ha vantaggi e svantaggi, che devono essere considerati prima di scegliere l’alternativa che gli consenta di perseguire la massima qualità di vita.
Bisogna però ricordare che la chirurgia è l’unica terapia curativa e, se viene eseguita in centri di riferimento specializzati permette un rapido recupero e il ripristino di una qualità di vita soddisfacente.
La chirurgia permette inoltre di eliminare la necessità di assunzione cronica di farmaci e di eliminare il rischio di degenerazione neoplastica.
La chirurgia moderna mininvasiva dovrebbe quindi essere considerata uno strumento a disposizione dei medici da offrire non in alternativa ma di concerto con le terapie mediche.