Anna Guerra, infermiera di Verona, in questa intervista, ci accompagna a conoscere diversi aspetti della Malattia di Crohn. La sua esperienza testimonia che stare meglio è possibile e che la maternità non è un tabù.
Anna Guerra è una donna di trentatré anni che parla della Malattia di Crohn, con cui convive dall’età di diciannove, con naturalezza e consapevolezza. Vede nella condivisione della sua esperienza di paziente, donna, moglie di Federico e madre della piccola Gloria, un’opportunità per aiutare e spronare gli altri a non arrendersi mai, nonostante i sacrifici e le rinunce che la patologia inevitabilmente implica.
Quando hai scoperto di avere la Malattia di Crohn?
L’esordio della malattia è avvenuto nel 2005, avevo diciassette anni, dopo un periodo durante il quale avevo spesso febbre e forti dolori addominali e intestinali, è arrivata una crisi più intensa del solito e sono stata ricoverata in un ospedale veronese ma non ricevetti alcuna diagnosi. Due anni più tardi, all’età di diciannove anni, nel 2007, sono stata nuovamente ricoverata, questa volta all’Ospedale di Negrar dove, dopo una colonscopia, mi hanno diagnosticato la Malattia di Crohn. In quel periodo non ero ancora seguita dal dottor Geccherle.
Come ha vissuto i due anni tra l’esordio della patologia e la diagnosi?
Un’esperienza dolorosa. Non c’era mai una risposta definitiva, mai una cura certa. L’unica certezza era il cortisone che se da una parte ti salva, dall’altra ti debilita.
Dopo il ricovero a Negrar cosa è accaduto?
Dopo quel ricovero, accadde che una parente mi parlò di una dottoressa che curava con metodi alternativi, ricorrendo anche all’omeopatia e mi sono fatta seguire per qualche mese. Non mi sono trovata bene e non ho raggiunto alcun risultato apprezzabile tanto che sono stata ricoverata altre due volte sempre a Negrar, dove in quelle occasioni ho conosciuto il dottor Geccherle.
L’incontro con il dottor Geccherle com’è stato?
Con la consapevolezza che ho oggi dico che è stata la mia fortuna perché da quel momento in poi le cose sono molto migliorate. Ho cominciato a seguire una terapia a base di farmaci biologici e le cose sono andate sempre meglio. Credo di essere stata una delle prime ad avere l’opportunità di usufruire di questo tipo di farmaci di ultima generazione.
È cambiata la sua vita dopo la diagnosi?
Inevitabilmente. Il primo cambiamento è stato quello relativo al mio percorso di studi, ho abbandonato l’idea di frequentare l’università perché non mi sentivo sicura, avevo paura che la mia condizione non mi permettesse di reggere ad una vita in cui dovevo lavorare e studiare. Ho scelto comunque di intraprendere un percorso di formazione idoneo alle mie inclinazioni e ho studiato infermieristica.
Qual è stato il momento più difficile?
I primi anni dopo la diagnosi non sono stati per nulla facili, ho dovuto assestarmi, capire come convivere con la patologia. Ho sofferto molto: dolore, stress, ansia. Componenti che non aiutano a star bene in generale, e in particolare, con queste patologie che possono avere periodi alternati di presenza e assenza. C’è voluto del tempo per ritornare a vivere, è scattato qualcosa dentro di me, la voglia di non arrendermi, di guardare alle cose possibili, ciò che potevo fare ed essere.

Oggi com’è la tua vita?
È una vita piena. Appagante. Sono madre di Gloria, una bimba stupenda di un anno e tre mesi che è l’amore della mia vita. Ho un lavoro che mi appassiona e mi permette di vivere a contatto con le persone, dando il mio contributo per farle stare meglio. Non posso negare che questa malattia abbia aspetti invalidanti, ma ho imparato a conoscermi, a capire come “funziono”, ad accettarmi e volermi bene così come sono, senza pormi tanti problemi che tanto non mancano mai nella vita.
Hai vissuto bene la maternità?
Sì, con alcune differenze, credo, rispetto a persone che non soffrono di alcuna patologia. Intendo che per me e mio marito Federico è stato un desiderio naturale come penso sia per tutti, abbiamo però dovuto cercare di realizzarlo in un momento in cui la mia salute fosse migliore. La Malattia di Crohn non ha un andamento regolare, alterna momenti di intensità a momenti di recrudescenza, ma è sempre lì in agguato.
L’aspetto più difficile?
La possibilità di trasmetterla a mia figlia, non è una patologia ereditaria ma può esserci familiarità. È una scelta difficile. Poi ho dovuto parlare col ginecologo della mia patologia e adattarmi alle sue indicazioni. Esami molto più frequenti, sospensione delle infusioni dal sesto mese di gravidanza in poi, somministrazione dell’eparina più frequente a causa di un altro problema. Di norma si fa una volta al mese. Tanti controlli. Gli esami del sangue ogi mese, quando di norma si fanno ogni tre. Oggi le maggiori difficoltà le incontro nella gestione della quotidianità: il lavoro, gli esami – alcuni molto invasivi – le visite, l’allattamento che mette alla prova il mio fisico e non mi permette di proseguire le terapie. Una sfida quotidiana, ma ne vale la pena.
Cosa ti senti di condividere della tua esperienza?
La prima cosa è che bisogna avere la fortuna o la costanza di trovare le persone giuste. Non arrendersi al primo parere, alla prima diagnosi. Interessarsi alla malattia, alle possibilità di cura, alle terapie, affidarsi a professionisti preparati. Agli esordi della malattia spesso mi liquidavano con diagnosi di colite, stomatite – presenza di afte – sempre problemi transitori e mi curavano con gli antibiotici ma non era quella la strada giusta. Evitare la solitudine, aprirsi, non abbattersi. Si può stare meglio, non è un traguardo irraggiungibile.
Cosa contribuisce a farti stare meglio?
Mia figlia, la mia famiglia, il lavoro che amo. L’amicizia. Tutte le cose belle della vita che sono felicissima di vivere. Essere seguita da un Centro specializzato che conosce la mia patologia, sa di cosa stiamo parlando, conosce me e la mia storia. Sono seguita in tutto, dagli aspetti clinici a quelli burocratici, con un team di medici multidisciplinare che mi supporta in tutti le implicazioni della malattia. Non mi sento sola. Così come l’Associazione A.M.I.C.I svolge un ruolo importante perché contribuisce a rendere noto ciò che troppo spesso non lo è. Le M.I.C.I sono malattie ancora poco conosciute di cui si parla poco o c’è molto pudore a parlarne.
Cosa pensi della Malattia di Crohn?
Penso che sia una cosa normale, non c’è nulla di cui vergognarsi. È una condizione che va affrontata quotidianamente, senza farne il fulcro della propria vita o far sì che sia un fattore limitante. Può avere risvolti imbarazzanti ma non per questo ci si deve chiudere in se stessi, anzi. Io amo la vita e la vivo al meglio.